giovedì 25 settembre 2008

Un Rosso troppo spesso ignorato

Riceviamo da Cantina di Venosa e pubblichiamo questo articolo del The New York Times del 19 settembre tradotto in Italiano naturalmente che mette in evidenza i grandi risultati raggiunti della Cantina oltre che ha parlare (sempre positivamente) di altri grandi vini lucani e campani

Un rosso troppo spesso ignorato

ERIC ASIMOV

L’Aglianico italiano è buono e di sicuro migliorerà ancora



D’accordo, ragazzi, le vacanze scolastiche sono ormai un ricordo e la scuola è ricominciata, ma mi sento in dovere di interrompere il nostro programma di studi per una breve sessione di ripasso. Perché dico una cosa del genere? Perché mi sono accorto di una cosa fondamentale: un nome appartenente al lessico dei vini italiani è improvvisamente sparito dalla circolazione. La parola in questione è “Aglianico”, il nome di una qualità di uve rosse del meridione italiano. Eppure l’intera serie di Aglianico pareva essere passata inosservata alla maggior parte delle persone: si tratta di un vero peccato, in quanto questi vini possono offrire un piacere incommensurabile a chi li degusta.

Nel tentativo di porre rimedio a questa triste situazione di fatto, la commissione vini ha di recente assaggiato ben 25 Aglianici, provenienti in buona parte dalle due regioni principali che lo producono – Campania e Basilicata – e da qualche altra zona. Florence Fabricant e il sottoscritto hanno fatto parte di questa commissione addetta alla degustazione insieme a Chris Cannon, uno dei proprietari dei ristoranti Alto e Convivio di New York, e a Charles Scicolone, esperto di vini.

Chris e Charles hanno entrambi lamentato il fatto che l’Aglianico giace ingiustamente nel novero dei vini ignorati dalla maggior parte dei consumatori, in buona misura semplicemente perché questo vino è messo in relativa ombra da nomi più famigliari quali Chianti, Barolo e perfino Valpolicella. A monte di ciò probabilmente conta anche moltissimo la natura alquanto poco concentrata della produzione di Aglianico, che ha impedito a un nome o a una regione in particolare di diventare famosi in relazione a esso. Infine, benché questi vitigni abbiano alle spalle una lunga storia, la produzione nel suo complesso di vino destinato al consumo internazionale è relativamente recente.

La produzione di vino è sempre stata importante per la Campania, regione a forma di mezzaluna affacciata al Mediterraneo con capoluogo la città di Napoli, e per la Basilicata, situata nell’arco dello Stivale, nella zona compresa tra il tacco (la Puglia) e la punta (la Calabria). Ma fino a venti anni fa circa i vini di queste aree erano prodotti essenzialmente per un consumo locale.

Qualcosa è cambiato alla velocità della luce: rispecchiando gli sviluppi registrati nel retroterra vinicolo europeo, gli aiuti governativi hanno contribuito a far sì che decine di produttori di uve che da sempre vendevano alle cooperative, si trasformassero in produttori diretti di vino. Le cooperative – produttrici un tempo, come è risaputo, di vino di scarsa qualità – hanno portato a termine progressi straordinari, migliorando esponenzialmente i loro prodotti. La viticoltura e la produzione di vino hanno fatto dunque il loro ingresso in una nuova epoca.

Di fatto, il vino da noi votato migliore è prodotto da una cooperativa della Basilicata, Cantina di Venosa. Il suo Aglianico del Vulture del 2003 è un eccellente vino, come ogni bottiglia da 10 dollari può essere. É denso, genuino, dal classico sapore di Aglianico con aroma di ciliegia aspra, minerali e tannino.

Tutti noi siamo rimasti piacevolmente sorpresi e compiaciuti dall’alta qualità dei vini assaggiati. Se abbiamo trovato pochi vini dal gusto decisamente moderno, in grado di assecondare il palato dei consumatori con aromi fruttati, dolci e di rovere, abbiamo riscontrato però che in massima parte i vini degustati erano equilibrati, asciutti e vellutati.

Da anni la fiaccola dell’Aglianico è stata tenuta alta in buona misura da due produttori, Mastroberardino in Campania – meglio noto per il suo Radici, della zona di Taurasi – e Paternoster in Basilicata, che da tempo produce Aglianico esemplare sulle pendici vulcaniche del Monte Vulture. Ormai decine di produttori esportano i loro vini negli Stati Uniti e purtroppo non siamo riusciti a trovare bottiglie dei produttori migliori, come Paternoster, Antonio Caggiano e Galardi, che produce il Terra di Lavoro, quanto di più vicino un Aglianico possa essere a un vino di culto.

Al secondo posto della nostra classifica si è piazzato abbastanza a sorpresa un vino prodotto né in Campania né in Basilicata, bensì in Puglia. Il Tormaresca Bocca di Lupo del 2003, prodotto a Castel del Monte nella Puglia settentrionale, è chiaramente un vino moderno, dal forte sapore di rovere, ben strutturato, armonico, con una spiccata identità di Aglianico. Non è il genere di vino che preferisco in assoluto, ma è eccellente.

Nessuno dei due vini più costosi tra quelli da noi degustati ci ha particolarmente colpiti: entrambi risentivano delle moderne tecniche di vinificazione – l’Aglianico del Vulture Vigna della Corona del 2003 proveniente dalla Tenuta le Querce, in vendita a 73 dollari, era dolce con sapore di confettura, mentre il Naima del 2004 prodotto da De Conciliis a 60 dollari alla bottiglia sapeva troppo di rovere.

Ancora una volta, quindi, l’Aglianico da noi prediletto rispetto agli altri era l’unico degli otto vini della fascia di prezzo in vendita a 20 dollari o meno ad averci veramente sorpresi. Ciò fa sì che tra i primi e gli ultimi della classifica ci sia una considerevole fascia di vini, i più eccellenti dei quali sono risultati essere il terroso Aglianico d’Irpinia Cretarossa del 2004 prodotto da I Favati e lo speziato e puro Aglianico del Taburno del 2003 prodotto da Ocone.

L’uva dell’Aglianico è alquanto tannica, ma non quanto quella del Nebbiolo, alla quale è spesso paragonata. Tuttavia, a seconda del vino e dell’annata, l’Aglianico si degusta al meglio dopo 5-10 anni di invecchiamento. Alcuni vini, come quello da noi valutato al sesto posto – il Taurasi Cinque Querce del 2003 prodotto da Salvatore Molettieri – potrebbero invecchiare anche più a lungo, per la densità del loro ricco aroma. Il Taurasi Radici di Mastroberardino invecchia bene (oggi il suo vino del 1968 è molto gradevole), mentre l’Aglianico del 2003, da noi collocato all’ottavo posto, pare un po’ troppo leggero per poter invecchiare anche soltanto la metà di questo tempo.

Di solito sono sempre molto lieto di trovare l’Aglianico nelle liste dei vini: la leggerezza del suo aroma fruttato e il fatto che possa essere un vino asciutto e intenso senza con ciò risultare pesante lo rende ottimo per accompagnare una molteplicità di carni, pollame e pasta.

Con il loro ingresso relativamente recente nel mondo della vinificazione moderna, i vini Aglianico di sicuro miglioreranno a mano a mano che i nuovi vitigni invecchieranno, e che i vinificatori e i coltivatori acquisiranno maggiore esperienza. Ora è giunta l’ora di cominciare a farne provvista e goderseli. Poi non dite che non vi ho avvisato.

c. 2008, The New York Times; Iht.com/culture

Traduzione di Anna Bissanti